Approfondimenti


22 maggio 2020

 

La sindrome della capanna: cos’è e come possiamo affrontarla?

 

Una capanna. Ecco cosa costruivamo spesso quando eravamo piccoli, sì per divertirci, ma anche e forse soprattutto per proteggerci, per nasconderci, per lasciare fuori quello che non ci piaceva, per avere un nostro mondo al riparo dal mondo. A volte, se ne avevamo la possibilità, cercavamo materialmente di staccarci dal terreno, che rappresentava la realtà, semplicemente costruendola tra i rami di un grande albero e più in alto era più ci sentivamo protetti, più il nostro mondo era inaccessibile. A chi? Beh di solito agli adulti, che rappresentavano i doveri, i compiti, le regole da rispettare, erano un po’ il nostro super-io cioè la parte che giudica i nostri comportamenti e ci dice quello che dovremmo fare. A volte però quello che dovremmo fare non è quello che vorremmo fare o non è quello che in una certa situazione ci sentiamo di fare, per insicurezze, timori o semplicemente perché ogni tanto è sano seguire quello che ci dice la nostra parte meno controllata, più istintiva, più regolata dalle emozioni del momento.

 

La capanna non era necessario fosse costruita particolarmente bene, che fosse solida e a prova di intrusioni: a volte era fatta con pochi bastoni e un panno, tutto qua. Ma non importava, perché era un luogo simbolico, era un luogo dentro di noi che volevamo portare anche all’esterno, perché fosse chiaro che ne avevamo diritto, che a volte ci doveva essere concesso di provare e fare quello che volevamo senza interferenze.

 

Ecco oggi, in seguito alla segregazione forzata che abbiamo subito e che in parte stiamo ancora subendo a causa del Covid, possiamo trovarci a ricostruire questa capanna.

Perché? Innanzitutto perché una situazione così eccezionale, in cui siamo stati costretti ad affrontare i nostri fantasmi e a sperimentare paure che semmai avevamo dimenticato da tempo, ci può aver portato ad una piccola regressione, che ci ha ricondotti emotivamente a quando eravamo più piccoli (anche molto più piccoli), quando eravamo meno pronti e capaci di affrontare il mondo, le persone, i doveri e le paure intimamente correlate alle nostre insicurezze.

Se ci guardiamo dentro, non è difficile rendersi conto che possiamo essere stati in parte riportati a quelle sensazioni...questo vale per i bambini, per gli adolescenti ma anche per gli adulti. Ci sono ragazzi di 14 anni che sono ritornati a far visita al letto dei genitori, adulti di 30 che dopo anni si sono ritrovati a piangere come quando erano piccoli, proprio nello stesso modo, e bambini di 8 anni che hanno ripreso in mano giocattoli di quando ne avevano 5, abbandonati da tempo.

Tutto questo non è allarmante, “ci sta”, di fronte ad una situazione così fuori dall’ordinario e deprivante l’essere umano cerca di difendersi e spesso ritrova sollievo o semplicemente si ritrova in fasi emotive della propria vita sulla carta già superate.

 

Ma ora, con la Fase 2 (e probabilmente sempre di più) cosa succede? Succede che il mondo là fuori ci chiama, sempre più insistentemente e se non rispondiamo alza la voce, mentre noi siamo ancora nella nostra “capanna”.

Cosa vuole da noi, cosa vogliono da noi le altre persone? Vogliono che riprendiamo il nostro posto, che rispettiamo gli accordi, che non deludiamo le aspettative, che ritroviamo abitudini spesso scandite da tempi strettissimi o, più semplicemente, che ritorniamo ad adeguarci ad uscite e ad obblighi per essere accettati in un gruppo, anche di amici. Insomma può chiederci di rifare quello che in realtà non ci piace e per questo motivo possiamo avere difficoltà nel rimetterci in gioco. Ci era stato ventilato un cambiamento del mondo, dei ritmi, delle persone e semmai vediamo che non è così, quindi non vogliamo rientrarci.

 

È normale...è comprensibile.

 

Ma cosa possiamo fare?

 

Se riflettiamo, in questo tempo che abbiamo trascorso in casa e in cui siamo stati invasi da tanti pensieri, siamo stati raggiunti anche da alcune consapevolezze...per prime proprio le consapevolezze delle cose che fuori non ci piacevano ma che ci intrappolavano in un meccanismo che sembrava inarrestabile e senza via di uscita.

Ebbene, queste consapevolezze sono un bene prezioso, dobbiamo cercare di non perderle perché attingono alla parte più profonda di ognuno di noi, alla parte che vuole farci stare bene, o meglio che vuole farci cambiare. 

Cambiare...non possiamo cambiare tutto quello che c’è là fuori in pochi mesi ma qualcosa rispetto a noi stessi sì. Difficile fuggire dalla scuola, dal lavoro...non si può e non è bene farlo. Ma iniziare a cambiare abitudini e tempi nel loro piccolo, che poi tanto piccolo non è, spesso è possibile anche se non sembra. Rallentare alcuni ritmi, trovare spazi per se stessi, riavvicinarsi alle persone che ci fanno stare bene non è una chimera. È in gran parte una disposizione interiore sulla quale la parte di mondo che ci spreme e ci lascia senza energie non può nulla e non deve potere nulla.

Pensiamoci, sicuramente c’è qualcosa in noi che può cambiare indipendentemente dalle richieste che ci vengono fatte, c’è qualcosa che non ci piace che non siamo costretti a fare, c’è qualche persona che non ci va a genio che può essere ridimensionata o distanziata.

 

Iniziamo da questo, prendiamo forza da questi tasselli che possiamo cambiare, ricaviamo spazio e benessere dalle piccole cose...se diamo il via ad una piccola rivoluzione interna ed esterna anche i grandi cambiamenti, diversi per ognuno di noi, arriveranno con più facilità.

 

Non sottovalutiamo un piccolo mattone, la nostra casa interiore si inizia a costruire da quello...e quando inizieremo a costruirla saremo pronti ad abbandonare la nostra capanna.

 

Dott. Massimo Sassi 

Dott.ssa Bianca Trifirò 

Dott.ssa Alice Raineri 

Striscia ideata e realizzata dalla Dott.ssa Roberta Guzzardi, Psicoterapeuta e Illustratrice

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16 maggio 2020


Perché l’alleanza corpo-mente è importante per gli adolescenti al tempo del Covid?

 

I ragazzi oggi, in questa situazione, spesso verbalizzano un senso di vuoto e di noia ma altrettanto frequentemente evidenziano ansie e fenomeni spesso nuovi per loro, come disturbi del sonno, incubi o, nonostante dormano a sufficienza e continuativamente, stanchezza mattutina e difficoltà a concentrarsi nel sostenere la didattica a distanza. 

Dobbiamo considerare che, in particolar modo adolescenti e preadolescenti (per i bambini ciò vale relativamente perché di solito non seguono lezioni in videochiamata), sono esposti per molte ore al giorno alla visione di schermi per motivi scolastici in questo particolare momento. Tali stimoli fungono in maniera sproporzionata da “attivatori” cerebrali e, come se non bastasse, non è raro che i ragazzi per rilassarsi utilizzino ancora il telefono, i videogiochi o guardino serie televisive, esponendosi di nuovo all’influenza dello schermo digitale. Questa routine atipica pone, durante quasi tutto il giorno, il cervello in una situazione di stress continuo che può avere conseguenze sul sonno,  provocare fenomeni ansiogeni da astinenza e condizionare molti altri aspetti dello stile di vita. La situazione è ulteriormente aggravata dal fatto che, privando i ragazzi della possibilità di uscire, di fare sport come veniva praticato prima e di incontrare amici, viene a mancare, soprattutto nell'adolescenza in cui il valore del gruppo dei pari e della condivisione di spazi e vissuti è centrale, la possibilità di scaricare tensioni e di svolgere attività che possano distogliere la mente da un’iperstimolazione che a lungo termine può risultare dannosa

 

In questo periodo sembra, insomma, che il corpo sia stato accantonato e privato del proprio ruolo che gli permetteva di interagire con la mente a livello di scarico delle emotività, soprattutto dal punto di vista delle tensioni, delle ansie scolastiche e delle dinamiche familiari che in questo momento possono essere più difficili da gestire: è come se la mente fosse stata abbandonata dal corpo e tutto il carico fosse investito su di essa, costringendola ad un lavoro eccessivo e dannoso

 

É dunque bene che, anche se comporta sforzo e la motivazione non è sempre elevata, la consapevolezza e l’utilizzo del proprio corpo ritornino nella quotidianità dei ragazzi, anche attraverso semplici accorgimenti. Per esempio spesso è sottovalutato l'apporto che può dare anche solo una mezz'ora di esercizio fisico al giorno (in particolare attività aerobiche) soprattutto per alleviare tensioni psichiche e muscolari, o un momento in cui si riprende contatto con il sentire del proprio corpo, anche attraverso semplici esercizi di rilassamento. 

É importante sottolineare che la maggior frequenza di esperienze oniriche disturbanti in questo periodo è dovuta proprio alla tendenza che il nostro cervello ha di spostare parte delle ansie esperite durante il giorno nei sogni, per cercare di sgravare il peso anomalo al quale è sottoposto in un momento in cui le difese si affievoliscono, come il sonno. Ma tale disagio si può sperimentare anche in modo diverso: ci sono ragazzi a cui, durante la prima passeggiata dopo settimane di abitudini limitanti, hanno ceduto le gambe, costringendoli a ritornare in casa, per rifugiarsi ancora nella sicurezza dello schermo digitale. 

Rompere una routine basata esclusivamente sull’investimento cognitivo introducendo un punto di rottura che sposti l’attenzione sulla corporeità e sul benessere fisico aiuta, molto più di quanto ci si possa aspettare, a riequilibrare il rapporto corpo-mente come unità biopsichica, anche per prepararsi al dopo coronavirus, cioè al momento in cui il corpo dovrà essere riutilizzato al pieno delle proprie potenzialità.

 

I modi per distendere, riprendere consapevolezza e riattivare il proprio corpo attraverso canali che alleggeriscano la pressione sul livello cognitivo possono essere diversi, assolutamente personali (praticare attività fisiche personalizzate, ascoltare musica, giocare con i fratelli più piccoli ecc.) e tutti possono portare benefici nella loro apparente semplicità.

Nel caso, invece, abbiate la necessità di utilizzare tecniche specifiche, contattateci: saremo lieti di condividere con voi, in modo assolutamente gratuito, metodi frutto della nostra esperienza nell’ambito del rilassamento corporeo e psichico.

 

Dott. Massimo Sassi 

Dott.ssa Bianca Trifirò 

Dott.ssa Alice Raineri 


 17 aprile 2020

 

“Andrà tutto bene”: giusto dirlo ai nostri figli?

 

L’espressione “Andrà tutto bene”, ripetuta continuamente ai bambini, fatta scrivere e appendere ai balconi insieme a grandi e colorati arcobaleni, è diventata simbolo di speranza contro il coronavirus, ma rischia di diventare un boomerang emotivo, specialmente per i più piccoli.

 

All’inizio questa frase è stata utilizzata per dare forza a chi viveva e lavorava nelle prime città colpite dal Covid, scritta su post-it attaccati ai campanelli e alle serrande dei negozi. Poi, come spesso succede, è stata ingoiata dal web, masticata e reinventata come mantra” per tranquillizzare, apparentemente, i più piccoli.

 

Le intenzioni sono ovviamente le migliori, ma vale la pena riflettere su quale possa essere leffetto sui nostri figli.

 

I bambini non possono e non dovrebbero avere piena consapevolezza di quello che sta succedendo intorno a loro, fuori dalle nostre case e il nostro compito di genitori e di adulti è quello di fare da filtro, cioè di trasmettere le informazioni calibrate in base alla loro età e alla capacità di comprensione, alla sensibilità individuale ed alle singole situazioni familiari in modo semplice, vero ma al contempo rassicurante, proteggendoli dalle nostre ansie.

 

I bambini sono chiusi in casa, quasi sempre non possono vedere i nonni, giocare con gli amici e correre liberamente nei prati.

Sono consapevoli di tutto ciò che manca e che li faceva stare bene, ma non sanno quando potranno tornare alla vita di prima. I bambini, di fatto, soffrono tante fatiche e mancanze in questo momento.

Questa sofferenza non deve essere negata, deve essere ascoltata, condivisa ed attutita con strumenti diversi a seconda dell’età e dell’individualità.

 

Siamo così sicuri che ripetere loro andrà tutto bene” li tranquillizzi?

Serve vedere questa scritta appesa nella casa del vicino?

Serve che il bambino scriva questa frase perché richiesto da maestre o genitori?

 

Andrà tutto bene”, in realtà, rischia di insinuare nella mente del bambino la possibilità che le cose possano non andare bene, che ci sia unalternativa negativa al ritorno ad una vita più serena e normale”. Andrà tutto bene” contiene il seme del dubbio, può portare a chiedersi se tutti si affannano a dirmi che andrà tutto bene, allora c’è qualcosa di brutto, sconosciuto e incontrollabile che può fare del male alle persone a cui voglio bene e forse anche a me?”.

 

Chiedere ai nostri bambini di disegnare e colorare un arcobaleno da appendere in casa o al balcone è un bellissimo pensiero, un invito a pensare al momento in cui, dopo la tempesta, tornerà il sereno.

Chiedere loro di scrivere andrà tutto bene”, invece, è più una difesa adulta, un incoraggiamento per noi, che siamo consapevoli della sofferenza e della fatica fuori dalle nostre case, che abbiamo negli occhi immagini terribili e nella mente numeri spaventosi, che abbiamo unidea chiara della sofferenza comune a tante famiglie e persone in questo momento. È la frase che vorremmo sentirci dire nei momenti in cui non abbiamo nulla di razionale a cui aggrapparci, quando lincertezza e la paura sembrano prendere il sopravvento.

 

Questo, ai nostri bambini, non possiamo chiederlo se vogliamo proteggerli, perché il rischio è proprio che questa frase torni indietro come un boomerang. L’effetto potrebbe essere proprio quello di creare o alimentare ulteriormente il loro disagio: queste parole potrebbero involontariamente suscitare unonda emotiva che va oltre la loro comprensione e consapevolezza, con il rischio di incrementare preoccupazione e timore. Quindi scrivere e ripetere andrà tutto bene” non serve ad alleviare una grande sofferenza.

 

Cosa fare dunque? 

Permettiamo ai nostri bambini di vivere e mettere in atto anche le emozioni disturbanti, le paure e le inevitabili frustrazioni, sconfiggiamole insieme come fossero un “drago mostruoso”. Non pretendiamo da loro che siano forti, ma rimaniamo pronti ad accogliere, ad ascoltare e a far narrare, in base all’età e all’individualità, tutto quello che stanno vivendo rispetto a questa situazione. Ma, soprattutto, stiamo con loro e giochiamo: teniamoli impegnati con le mani, teniamoli in un fare” che è più rassicurante di mille discorsi. Troviamo e ritroviamo la capacità di stare concretamente insieme.

La nostra presenza e il nostro fare insieme in modo sereno e tranquillo, godendo di tempi lunghi di vicinanza, solitamente così difficili da trovare, è la medicina” migliore, lunica che in questo momento serve veramente.

 

Dott. Massimo Sassi 

Dott.ssa Bianca Trifirò 

Dott.ssa Alice Raineri